Mente Locale della Piana

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Come fu che la Grecia diventò la Grecia (e Campi Campi)

Di questo periodo sui giornali impazza la questione del rimborso dei crediti arretrati alle imprese fornitrici da parte dello Stato. Un lettore ingenuo potrebbe pensare: che diavolo c’è da impazzare? Si sa quanti sono i debiti, si concorda con il creditore un piano concordato e si restituisce il debito, sennò si fallisce. Tutto giusto, e vero. Dove sta l’ingenuità? Lo Stato non sa quanto sia il suo debito. La Banca d’Italia stima che il debito ammonti a 90 miliardi di euro, secondo l’Associazione delle Banche (ABI) sono 100 miliardi, per alcune associazioni di categoria sono 140. A questo punto, per ingenuo che sia il lettore dovrebbe cominciare ad avere un dubbio: ma com’è possibile che lo Stato non sappia l’entità del suo debito? E allora a che valgono le stime sul debito pubblico? Il dubbio è legittimo, ed ha anche una risposta; ma non vi piacerà…

Come Campi divenne Campi
La spiegazione di come tutto ciò sia possibile, sia successo e continua ad accadere nasce proprio dal Comune di Campi, dove l’attuale Amministrazione (ancora per poco), si trovò a chiudere il bilancio 2008 in condizioni di grave disavanzo. In particolare, il disavanzo era pari
o superiore a 1/3 delle entrate complessive del Comune.
Chi certificava questo fatto? La Corte dei Conti, in una pagina (la 148) della relazione dell’8 marzo 2010. In presenza di una tale situazione, il Comune rischiava davvero di non chiudere il bilancio, e che fosse avviata la procedura di dissesto (in altri termini, ciao ciao sindaco; arriva il commissario e a quel punto si scoprono le tombe e si levano i morti). Come fare infatti ad assicurare l’equilibrio finanziario necessario per lo svolgimento delle normali attività del Comune, se già un terzo complessivo delle entrate sono drenate solo per pagare i debiti pregressi? Una risposta possibile era: ridurre le spese correnti. La Corte dei Conti rilevò invece che l’Amministrazione non aveva scelto questa strada; al contrario tali spese risultavano in costante crescita. Come fare per chiudere il bilancio ed evitare l’arrivo del tenuto commissario?
A quanto risulta dalla relazione della Corte dei Conti, l’Amministrazione salvò la pelle (e le proprie seggiole in Comune) in questo modo: 1) iscrivendo a bilancio crediti di dubbia esigibilità (le famose “poste straordinarie” della Corte dei Conti; 2) rinegoziando nel 2007 i mutui già sottoscritti. In tal modo, tutti gli ammortamenti previsti nel 2008 furono spostati al 2009… Naturalmente, per effetto della rinegoziazione, spalmare gli interessi per un periodo temporale più ampio finisce per aumentare gli interessi stessi e dunque lo stock di debito.
Ciò secondo la citata relazione della Corte dei Conti era comprovato dal fatto che nel bilancio 2008, rispetto a quello dell’anno precedente, il grado di sostenibilità degli interessi del mutuo era sceso dal 50% al… 28%. In tal modo l’indebitamento del Comune era stato fatto rientrare
nei limiti di legge, al prezzo, secondo la Corte dei Conti, di una grave irregolarità.
Sui rilievi fatti dalla Corte dei Conti si aprì un procedimento che portò poi a un’audizione del sindaco, ma ora questo non ci interessa. Quella che conta è l’operazione che fu messa in pratica nel 2008 secondo la Corte dei Conti; l’amministrazione non affrontò il deficit finanziario diminuendo le spese e recuperando l’efficienza della macchina comunale (tra l’altro, secondo la relazione della Corte dei Conti, delle somme messe a bilancio per infrazioni al codice della strada solo il 58,91% veniva effettivamente recuperato), ma spostando il debito in là nel tempo tramite la rinegoziazione dei mutui – secondo la relazione della Corte dei Conti, pagina 131 – di un ventennio. Questo ovviamente non significa che l’ammontare del debito diminuisca; al contrario, aumenta. Tuttavia in questo modo è possibile non metterlo al bilancio corrente. In altri termini l’aumentare del debito non viene immediatamente conteggiato e perciò non si sa quanto sia.

Che questa pratica fosse stata perpetrata al Comune di Campi anche dopo la vicenda del bilancio 2008, lo sostiene la stessa Corte dei Conti, che ha effettuato un nuovo rilievo sul bilancio 2011, certificando che il Comune si trovava in stato di “precarietà finanziaria”, ossia aveva difficoltà a procurarsi le entrate di cui ha bisogno per espletare le proprie normali attività. La faccenda fece imbufalire l’Amministrazione, che il 2 dicembre 2011 convocò un’assemblea pubblica per sostenere che: 1) i rilievi della Corte dei Conti non avevano rilevanza penale – e meno male; 2) che il Comune di Campi non era l’unico in tali condizioni, ma anzi quello stato era condiviso da quasi tutti i Comuni d’Italia; 3) che la responsabilità
della cosa ricadeva sul Patto di Stabilità e sul taglio dei trasferimenti dello Stato agli Enti Locali.
Ed è vero che il Comune di Campi non è il solo in queste condizioni e che c’è chi sta peggio (però non è una gran consolazione); e che le entrate sono diminuite anche a causa del taglio dei trasferimenti dello Stato. Tuttavia resta il fatto che tutte queste cose non impedivano al Comune di Campi, sin dal 2008, di avviare una politica di risanamento finanziario; ossia di cominciare a tagliare le spese improduttive o eccessive e di recuperare introiti migliorando l’efficienza della macchina comunale. Nulla di tutto ciò è stato fatto. Al contrario, si sono continuate a impegnare somme per vicende scarsamente credibili di fronte ai cittadini (basti pensare alle somme di cui è stato determinato l’impegno per i progetti di recupero della scuola Matteucci, della quale, dopo tre anni e rotti di tira e molla, ancora non si è capito che cosa voglia far l’Amministrazione… ammesso che voglia fare qualcosa); a impegnare somme per eventi che agli occhi di un cittadino sembravano francamente sovrastimate: come si fa a stanziare 51.000 euro per un ciclo di presentazione di libri, manifestazione che di solito si svolge a costo quasi zero? Per non parlare della voragine dell’Accademia dei Perseveranti, i quali perseverano nel creare buchi di bilancio. Certo, distribuire soldi pubblici porta consenso mentre rivedere la spesa genera scontento… e fa perdere le elezioni; però poi alla fine diventa difficile, se non a prezzo di una gran faccia di bronzo, sostenere che il bilancio è stato risanato (anche se diventa più facile se l’opposizione è alla camomilla); e quando infine la precarietà
finanziaria diventa precarietà di liquidità (e a quel punto si comincia a non pagare più i fornitori) le elezioni si perdono lo stesso…

Come la Grecia divenne la Grecia
Campi Bisenzio non è l’unico Comune in queste condizioni, si diceva. Altri enti sono messi persino peggio. Ma questo spiega perché lo Stato non sappia quanto esattamente deve ai fornitori, se non per i titoli messi a bilancio (ricordiamo che il bilancio è annuale) e quindi già scaduti; quelli che sono stati messi fuori bilancio perché sono stati spostati in là nel tempo non li conosce nessuno. Ciò anche per un altro motivo; anche cambiando il colore dell’amministrazione, i nuovi amministratori non hanno nessun motivo di far conoscere la bomba a tempo su cui sono seduti… sennò arriva l’odiato commissario. Perciò per conoscere i conti veri occorre: 1) che arrivi l’odiato commissario; oppure 2) che si insedi una amministrazione di nuovissimo conio, interessata a far prima di tutto conoscere la verità ai cittadini e che sia disponibile ad aprire i libri. Che è quello che è successo a Parma, ove si è scoperto che il deficit era alquanto superiore a quello dichiarato.
Ma al di là di quello che è successo al Comune di Campi e agli altri enti locali in stato di precarietà finanziaria, e delle conseguenze che i cittadini vorranno trarre alle prossime elezioni amministrative, l’esempio è utile per far capire come in Italia il vero deficit è probabilmente più alto del previsto. In altri termini: i debiti veri sono stati spalmati in modo tale da essere occulti; ed è per quello che lo Stato non sa quanto deve ai fornitori.
Tra l’altro, l’impresa di riuscire a rimborsare ai creditori almeno le cifre che si sanno essere certe, diventa un’opera altamente rischiosa, perché per emettere tali rimborsi lo Stato deve emettere altro debito (per pagare i fornitori, per capirci, emette titoli di Stato), per cui non si sa quale sia l’effetto sullo stock di debito vero.
C’è un altro Stato che ha fatto ricorso a queste pratiche in altri tempi; si tratta della Grecia, che (aiutata a dire il vero da prestigiose finanziarie che ora la ripagano abbassandole il rating) ha sistematicamente truccato i conti per fare risultare il deficit molto più basso di quello che era. Quando, nel 2009, il giochino venne fuori (ma il giochino viene fuori sempre), i mercati massacrarono il Paese che a quel punto, essendo anch’esso in stato di precarietà finanziaria, non aveva più difese. Si avvitò così la crisi greca in cui quel paese sta ancora. Quindi la Grecia
ci sta davanti come un possibile specchio in cui ci riflettiamo anche noi. E che la cosa stia così come scriviamo, lo conferma la fonte più insospettata; l’attuale presidente del Consiglio Mario Monti, il quale ha dichiarato sul Fatto Quotidiano del 7 aprile 2013 (pagina 3): “Mentre si
facevano più stretti i vincoli di finanza pubblica, le amministrazioni hanno risposto scaricando gli oneri sul futuro e sulle imprese”.
Per non chiudere su una nota troppo deprimente, sottolineiamo il fatto che nulla di ciò è ancora irrevocabile; la catastrofe greca non è ancora successa (a livello di ente locale invece sì; a Parma, a Torino, ad Alessandria, e anche Siena ci dicono si porta benino…), quindi è ancora possibile affrontare la situazione invertendo le politiche che hanno portato al disastro attuale. Per poter far ciò, il primo passo è mandare a casa, con l’arma del voto democratico, tutti coloro che a qualunque titolo si sono resi corresponsabili di questo immenso sfascio (ricordiamo che si governa anche dall’opposizione…) e che ora tentano goffamente di riciclarsi come alfieri del nuovo, rinnovatori, rottamatori e quant’altro. È il momento ora che i cittadini si liberino da tutta questa classe politica che ha rovinato questo Paese; oppure, è meglio che si aspettino davvero la rottamazione (che non mancherà di arrivare, come è arrivata in Grecia), e che preparino la valigia; destinazione Atene, dove, dicono, ci aspettano a braccia aperte.

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Questa voce è stata pubblicata il 11 aprile 2013 da in Editoriale con tag , , , , , , , , , , .

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